Mi fa molto piacere vedere l’interesse scaturito dal primo numero di Senza mulini. L’ordinazione femminile è una questione calda e complessa. Oggi ti porto al crocevia tra i documenti vaticani e le riflessioni sulla libertà di coscienza.
Senza mulini è una newsletter gratuita, sostenuta dalle sue lettrici e lettori. In occasione del lancio ho anche attivato una promozione speciale attiva fino a oggi, 28 febbraio 2025.
Sempre fino a oggi si può leggere gratuitamente online La fede molesta, l'inchiesta a fumetti scritta da me e illustrata da Anna Cercignano per La Revue sugli abusi sulle religiose. Non fartela scappare!
Detto questo, iniziamo!
Ma quindi le donne possono essere preti?
Nello scorso numero di Senza mulini abbiamo seguito il percorso di Bridget Mary Meehan, che ha risposto alle mie domande da Sarasota, in Florida, è prete dal 2006, vescova dal 2009 e fa parte dell’associazione Roman Catholic Women Priests (RCWP).
Se ti sei persə l'intervista a Meehan, la trovi qui.
C’eravamo lasciatə con questo interrogativo: ma quindi le donne possono essere presbitere? Sono partita dalla sua storia perché la realtà supera sempre l'immaginazione. Se guardiamo alla regola, però, le cose sono ben diverse. Non è un caso che se chiedi in giro moltə probabilmente non hanno mai sentito né visto una presbitera cattolica. Non veterocattolica, non protestante. Proprio cattolica romana, quella che riconosce il papa come guida.
Leggendo i documenti vaticani, la questione sembra apparentemente semplice. Le donne non possono essere ordinate. Period.
Nel 2007, infatti, la Congregazione per la Dottrina della Fede ha firmato il Decreto generale circa il delitto di attentata ordinazione sacra di una donna. Il documento prevede che
“sia colui che avrà attentato il conferimento dell’ordine sacro ad una donna, sia la donna che avrà attentato di ricevere il sacro ordine, incorre nella scomunica latae sententiae”.
Un tipo di scomunica particolare, automatica, che si applica immediatamente al compimento del fatto, senza bisogno di una dichiarazione ufficiale. È la stessa che entra in vigore, ad esempio, quando un prete assolve un complice con cui ha commesso un “peccato contro il sesto comandamento” (sessuale) oppure una persona attenta fisicamente al papa o sceglie volontariamente di abortire.
Detto fatto si è fuori dalla Chiesa. Ma in concreto cosa vuol dire? Lo spiega il can. 1331 del Codice di diritto canonico. In sintesi la scomunica comporta l'esclusione dalla vita sacramentale e dalla partecipazione attiva al culto. La persona scomunicata non può celebrare né ricevere i sacramenti, né prendere parte a cerimonie liturgiche (come il proprio funerale cristiano). Inoltre, perde incarichi e funzioni ecclesiastiche, non può esercitare autorità all'interno della Chiesa e, se la scomunica è stata formalmente dichiarata, perde privilegi, stipendi ecclesiastici e la possibilità di ottenere nuovi incarichi o titoli
Nonché bisogna considerare la possibile esclusione e isolamento nella comunità spirituale. Soprattutto nei contesti piccoli, se sei “la scomunicata” della tua parrocchia e/o del tuo paesino, non te la passi bene.
Eppure le donne di RCWP hanno iniziato a vederla diversamente. A non ritenere più centrale per la loro vita il giudizio del Vaticano sulla loro ordinazione. Non è così importante per loro essere considerate fuori dalla Chiesa, perché loro si sentono dentro e in pieno.
Noi siamo così unite in Cristo e con il popolo di Dio! Non siamo separate [dalla Chiesa]. Stiamo esercitando amore, crescendo e ci stiamo mettendo a servizio. La scomunica è una punizione imposta dalla gerarchia ma fa più male a loro che a noi. Non crea alcun danno alla nostra anima
Sono le parole di Meehan e riassumono bene il sentire di RCWP. Certo, non per tutte è così. Non è un caso che lei viva negli USA, dove si è lontanə dal Vaticano e circondatə da chiese protestanti, con numerose pastore e molto più indipendenti. Già se ci spostiamo in Europa la situazione è diversa. Qui pesa di più la scomunica, impatta sulla vita quotidiana, sulle relazioni sociali. Nonostante ciò, le ministre ordinate aumentano anche in Europa. Uno dei casi più recenti è quello della vescova spagnola Mercedes che, proprio per tutelarsi, celebra in clandestinità e non appare sui media con il suo cognome.
Non è arbitrario che un gruppo di donne decida di ordinarsi reciprocamente? Basta così poco per essere preti?
Partiamo dal fatto che queste donne non si improvvisano preti da un giorno all’altro. La maggior parte di loro possiede titoli accademici avanzati, anni di esperienza nella pastorale e nella guida comunitaria, oltre a rivendicare con orgoglio la pari dignità battesimale. In aggiunta prima dell’ordinazione seguono un percorso preparatorio.
Come scrive
a proposito dello sciopero organizzato per l’imminente Quaresima, spesso “noi donne “conduciamo e coordiniamo la stragrande maggioranza dei ministeri parrocchiali in tutto il mondo e serviamo come diaconesse e preti in tutto tranne che nel nome”.In secondo luogo, le ministre di RCWP si riconoscono parte della Chiesa cattolica sia perché ne condividono i valori, sia perché hanno mantenuto la successione apostolica, cioè la continuità ininterrotta dell’autorità dei vescovi, trasmessa attraverso l’ordinazione da uno all’altro, risalendo fino agli apostoli. Una sorta di catena costante che, per la Chiesa cattolica, garantisce la fedeltà all’insegnamento di Gesù.
Infatti le prime presbitere sono state ordinate da alcuni vescovi cattolici, al tempo riconosciuti dal Magistero e poi scomunicati proprio per aver ordinato delle donne. Questo ai loro occhi è un tassello fondamentale e riconosce la legittimità della loro azione.
Infine, chi dà l’autorità per essere prete a chi? Indubbiamente per il Magistero c’è un percorso prestabilito al quale puoi accedere solo se hai delle caratteristiche, tra cui un genere preciso (ma non solo). Per le presbitere cattoliche, però, pesa di più il consenso della loro comunità e la vicenda di Meehan lo dimostra. La sua comunità, composta da persone cattoliche in uno Stato non di certo progressista degli USA, l’ha incoraggiata a salire su quella nave dove poi sarebbe stata ordinata. Le ha addirittura pagato il viaggio! E una volta prete, l’hanno voluta con loro.
Certo, questo tipo di reazione è più facile in un contesto geografico e culturale come quello americano dove le chiese sono più indipendenti, maggiormente slegate da un’autorità centrale. In Italia la situazione è ben diversa. Eppure in altre parti del mondo ci sono parrocchie (cattoliche) che non hanno proprio i preti, che sono gestite interamente da persone laiche, che sono più domestiche che edifici di culto.
Ecco dunque il nostro primo potenziale immaginativo sbloccato. Delle comunità di persone che non semplicemente sfidano l’autorità lontana e centrale, bensì non se ne curano proprio perché il loro centro è altro: la comunità.
Il movimento che mira al riconoscimento dell’ordinazione femminile (di cui RCWP fa parte) offre un modello rinnovato di ministero presbiterale, non basato sulla gerarchia, ma radicato nell’uguaglianza battesimale. Con il battesimo tuttə sono uguali in termini valoriali. Ognunə ha poi doni diversi ed è chiamatə a condividerli nel servizio al popolo di Dio.
RCWP conta circa 300 membri in tutto il mondo, tra diaconesse, preti e vescove presenti in ogni continente. Il loro obiettivo è accompagnare la Chiesa verso l’inclusività, la giustizia e l’uguaglianza in tutti i ministeri, compresa l’ordinazione. A differenza di quanto accade in altre parrocchie - anche in Italia - nelle comunità inclusive da loro guidate tuttə sono invitati a ricevere l’Eucaristia (aka fare la comunione), tutti i sacramenti e trovare accoglienza. Soprattutto chi non si sente più a casa nella Chiesa cattolica: persone LGBTQ+, divorziati e risposati, etc.
Seguire la coscienza
C’è un ultimo tassello da considerare. Il primo gruppo di presbitere cattoliche è stato ordinato nel 2002 sul Danubio. Vengono chiamate Danube 7. I loro nomi sono Ida Raming, Iris Müeller, Gisela Forster, Christine Mayr-Lumentzberger, Viktoria Sperrer, Pia Brunner e Dagmar Celeste.

Che cosa ha spinto queste donne a rompere con la tradizione, farsi scomunicare all’istante (più di vent’anni fa, quando erano le prime) e dare il via a un movimento? Probabilmente tra le opzioni di risposta non ti aspetti di trovare il Concilio Vaticano II.
Proprio così: le Danube 7 e le altre donne che si sono fatte ordinare negli anni successivi si definiscono “Vatican II people”. Il Concilio Vaticano II (1962-1965) è stato un’assemblea di vescovi cattolici con l’obiettivo di modernizzare la Chiesa. In quell’occasione si è a lungo discusso dell’ampliamento della leadership, del diritto delle persone fedeli di esercitare il proprio giudizio secondo coscienza e della responsabilità personale delle proprie azioni. Di grande impatto è stata l’affermazione esplicita della libertà di usare la propria ragione e comprensione teologica per scegliere come vivere la propria fede secondo coscienza.
Qui germoglia quello che poi sarà RCWP. Le Danube 7 - tedesche e austriache, già impegnate sul fronte della parità di genere nella Chiesa - e le loro successore scelgono il sacerdozio agendo secondo coscienza, alla luce del Vangelo e della loro comprensione teologica, dando risalto alla pari dignità battesimale ed esercitando quella responsabilità personale e libertà di discernimento che il Concilio Vaticano II ha riconosciuto come parte integrante della vita di fede.
Non una sfida, ma un’eredità raccolta, che mostra ancora una volta quanto queste ministre si sentano cattoliche.
La prima ordinazione femminile in Italia
Sebbene RCWP non comprenda nessuna donna italiana, Roma ha visto la sua prima ordinazione femminile nell’ottobre 2024. Durante il Sinodo, un gruppo di ministre provenienti da varie zone del mondo è salito su una barca e, come da tradizione, ha realizzato una cerimonia proprio lungo il corso del fiume.
Durante una celebrazione sul Tevere in tre lingue e alla presenza di circa 50 fedeli sono state ordinate prete Belen Repiso Carrillo dalla Spagna, le statunitensi Anne Malloy La Tour e Mary Katherine Daniels e tre diacone (due trans): Loan Rocher dalla Francia e lə spagnolə Maria Teresa Ribeiro Rosa e Txus Garcia.

To be continued
Per oggi ci fermiamo qui. Nel prossimo numero atterriamo in Sudafrica per osservare un contesto caratterizzato dalla presenza di tante denominazioni cristiane, le cui radici affondano anche nella cultura che ha permesso l’Apartheid. Si parlerà di rapporto con il laicato e di giustizia sociale.
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Grazie per aver letto fino a qui. Ci ritroviamo tra due settimane!
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"Di grande impatto è stata l’affermazione esplicita della libertà di usare la propria ragione e comprensione teologica per scegliere come vivere la propria fede secondo coscienza." È un concetto espresso spesso anche da Annamaria Corallo. Lo trovo molto coinvolgente, nel senso letterale, però mi chiedo se/quali argini è opportuno pensare per evitare che si arrivi al "ognuno faccia come gli pare". Grazie!