Benvenutə a un nuovo appuntamento con Rassegnati. Dopo tanta progettazione e riflessioni, la rubrica che accompagna i miei sabati da più di due anni ha cambiato forma ed è diventata una newsletter!
Rassegnati è la rubrica settimanale che seleziona un fatto degli ultimi giorni per mostrare com’è stato riportato dalla stampa italiana. Tra strategie comunicative ed errori, viene svelato il filtro che copre ogni notizia. Oggi parliamo del 54esimo anniversario dei moti di Stonewall.
Ma non solo! Breve reminder di cosa troverai ogni fine settimana:
il riepilogo di una notizia che ha scaldato la stampa e i social e un’analisi di com’è stata raccontata;
una listona delle cose che ho scritto e/o pubblicato durante la settimana;
gli eventi pubblici in cui possiamo incontrarci.
Questa non è solo una newsletter, ma un modo per contribuire alla costruzione di una comunità di persone capaci di leggere il mondo attorno a sé. Se ti piace Rassegnati, se la trovi utile, se credi che possa essere interessante, condividila con chi hai attorno. Aiutami a crescere!
54 anni dai moti di Stonewall
54 anni fa, tra il 27 e il 28 giugno, iniziavano i moti di Stonewall, che hanno cambiato la storia LGBTQ+ (e non solo). Per questo giugno è il Pride month in tutto il mondo. Anche se sono passati decenni da quella notte, ricordare chi ha preso parte alla storia dei diritti civili è fondamentale per costruire il presente e il futuro con consapevolezza. Un futuro e un presente in cui ogni persona abbia lo spazio, le possibilità e le risorse che le spettano in quanto membro di questo grande telaio che è la nostra storia.
I moti di Stonewall sono avvenuti nel giugno 1969 a New York City, presso il bar gay Stonewall Inn. In quel periodo, l'omosessualità - allora era un termine ombrello che racchiudeva più aspetti della queerness - era ancora considerata illegale e le persone LGBTQ+ erano spesso soggette a discriminazioni, arresti e violenze.
La scintilla che innescò i moti fu la reazione della comunità LGBTQ+ alla perquisizione e all'irruzione della polizia nello Stonewall Inn. Invece di accettare passivamente l'ennesimo abuso, questa volta le persone presenti reagirono, manifestando il loro disappunto e ribellandosi.
I moti si protrassero per diversi giorni e coinvolsero un vasto numero di persone. Furono caratterizzati da scontri con la polizia, manifestazioni, proteste e dimostrazioni di solidarietà. Questo evento ebbe un impatto significativo, innescando un movimento di attivismo e una maggiore consapevolezza relativa ai diritti delle persone LGBTQ+.
Per capire la portata di quei giorni, vi lascio un estratto dallo script de “La storia LGBTQ+ siamo noi”, che io e Clara Bonomi abbiamo portato in scena a Lo Spazio in occasione del LGBT+ History Month in collaborazione con Lorenzo Passini e Brescia Pride.
Negli anni ‘50-‘60 il movimento queer si polarizza attorno a due diversi modi di vedere il rapporto con la società.
Da un lato abbiamo i gruppi omofili, che si aggrappano a strumenti colti e raffinati per accompagnare le persone queer nella società senza eccessi, senza rumore. Le identità non conformi vengono mal viste e l’obiettivo è fingere di aderire alla norma. Ci stanno dicendo: “e tutto ciò che faccio e che sono è conforme allo standard, allora va bene ch’io sia bisessuale, lesbica, gay, trans, etc. Ho solo questo piccolo dettaglio che mi rende diversə, ma per il resto sono come tutti gli altri e mi adeguo”.
L’altro versante vuole rompere la norma. La possibilità assimilazionista non fa per loro: sono persone già di per sé ai margini. Non conformi, razzializzate, prostitute. Non tengono un profilo basso, non vogliono restare invisibili, ma attirare l’attenzione mediatica. La comunità LGBTQ+ in tutto il mondo sembra pronta a marciare. Sono i mesi, i giorni prima dei moti di Stonewall, le proteste che a partire dal 28 giugno 1969 si sono diffuse da New York agli USA e a tutto il Pianeta.
Ѐ un periodo di grandi cambiamenti. Attorno al tema degli anticoncezionali si crea una spaccatura tra Chiesa e mondo laico. Il femminismo della seconda ondata si spende per far uscire le donne dalla dimensione domestica e portarle in quella pubblica. Il movimento per i diritti civili degli afroamericani porta al centro dell’attenzione l’orgoglio di sé, della propria identità, come base per la militanza politica.
Il movimento LGBTQ+ si nutre di tutto ciò. I moti di Stonewall non restano negli USA, ma sono l’eco di una spilla che risuona nel resto del mondo. C’è un prima e un dopo Stonewall.
Questa è una fotografia molto famosa, conservata nell’archivio di History.com. Sulla sinistra sono presenti due dei volti più importanti di quegli anni. La storia dei moti di Stonewall, infatti, cambia a seconda della narrazione che ne facciamo. E ciò che spesso si tende a tacere è chi ha avuto un ruolo centrale nelle prime manifestazioni: le donne trans nere e latine. Due nomi in particolare vanno ricordati.
Il primo è Marsha P. Johnson, attivista afroamericana, sex worker e sieropositiva. La P nel suo nome significa “Pay It No Mind” (fregatene), la sua risposta alle domande sulla sua identità di genere. Fu al centro dei moti di Stonewall e tra le fondatrici della Street Transvestite Action Revolutionaries (STAR), un’organizziazione a sostegno delle persone trans che vivono in strada.
Il suo corpo venne ritrovato nel 1992 nel fiume Hudson, a New York, e tutt’oggi rimane irrisolto il mistero della sua morte. Subì la sorte di molte altre donne trans decedute o scomparse (probabilmente uccise): l’archiviazione delle indagini senza ulteriori ricerche. Netflix le ha dedicato il documentario “La vita e morte di Marsha P. Johnson”.
Il secondo nome è quello di Sylvia Rivera, anche lei attivista e sex worker, una donna latina che ha vissuto a lungo in strada. Fu un prima linea contro lo sbiancamento che la comunità LGBTQ+ stava facendo della propria storia, limitando il ricordo delle persone BIPOC (Black, Indigenous, People of Color) e del loro contributo nella lotta per i diritti. Lottò per la giustizia sociale, economica e razziale in una vera e propria forma di intersezionalità. Venne anche in Italia tra le stonewall pioneers invitate al World Pride che si tenne a Roma nel 2000. Prima di quel giugno di 23 anni fa non era mai uscita dagli USA.
Le loro storie sono importanti perché - come dice uno dei motti presenti alle parate del Pride - “la prima volta fu rivolta” e lo fu proprio grazie alle donne trans nere e latine.
Listona
Cosa ho fatto questa settimana?
Ho consigliato su Telegram il podcast Queer Theology di Brian G. Murphy and Shannon TL Kearns, che da sette anni a questa parte tutte le domeniche fa un’operazione di queering. Si tratta di una modalità di rilettura dei testi sacri e della tradizione volta a individuare la queerness presente, porsi degli interrogativi sul rapporto tra fede e comunità LGBTQ+ nel corso del tempo e individuare degli strumenti utili per vivere positivamente nella Chiesa di oggi (in questo caso si parla di Chiesa perché il contesto è cristiano, ma naturalmente il meccanismo si applica anche ad altre religioni). Come si dice nella sigla “From Genesis to revelation, the Bible declares good news to LGBTQ+ people and we want to show you how”.
Ho intervistato l’esperto di diritto canonico ed ecclesiastico Francesco Lozupone a proposito delle missioni diplomatiche che i cardinali fanno per conto del Vaticano.
Ho assistito al primo evento online della Moschea Al Kawhtar, frutto del progetto Sono l'unica mia (SLUM), in occasione di Eid Al-Adha, la cosiddetta “festa del sacrificio”, nota per essere la festa della macellazione di moltissimi agnelli e montoni. Insieme a Maryan Ismail, imama e attivista, docente di antropologia dell'immigrazione, e Tahar Lamri, intellettuale e scrittore, artista eclettico, si è discusso della possibilità di un sacrificio al di là della macellazione animale. L’evento è stato registrato e caricato su YouTube.
Ho lanciato una call to action. Per La Revue Dessinée Italia (su cui a dicembre ho pubblicato La fede molesta, un'inchiesta a fumetti sugli abusi sulle religiose) sto facendo una ricerca sulle terapie di conversione in Italia. Vorrei parlare con qualcunə che le abbia vissute per un confronto. Naturalmente tutte le testimonianze saranno trattate con il massimo rispetto e - a meno che non si preferisca diversamente - in anonimato.
L'obiettivo dell'inchiesta è spiegare il funzionamento delle terapie riparative e il loro impatto sulle persone LGBTQ+ e sul nostro rapporto con la fede.
Se avete incontrato nel vostro percorso le terapie di conversione, vi sarei molto grata se voleste condividere alcune riflessioni con me. Scrivetemi pure via mail (elisabelotti96@gmail.com).
Altrimenti, fate girare dove sapete che c'è qualcunə che mi può aiutare ❤️
Per oggi è tutto!
Grazie per essere arrivatə fino a qui. Ci risentiamo la settimana prossima 🔥