Ho chiuso lo scorso numero raccontando le tensioni che caratterizzano l’esperienza del cristianesimo indonesiano: le difficoltà nel costruire le chiese, l’obbligo di indicare il proprio credo sul documento d’identità, gli appelli a livello internazionale e nazionale. Eppure nell’arcipelago più grande del mondo si trovano anche numerose iniziative di convivenza e scambio tra comunità, episodi che altrove non sarebbero nemmeno immaginabili. Vediamoli.
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Ieri è uscito l'episodio 6x02 di Cristianə a chi?. Parliamo di ecologia e religione, stili di vita sostenibili, scelte alimentari e rapporto con la natura. Si ascolta qui.
Detto questo, iniziamo!
Di chi è il Dio chiamato Allah?
L’ospite di questo mese, Ahmad Alex Junaidi, ha fatto un ritratto del mosaico di comunità religiose presente in Indonesia e di come questi gruppi si trovino a vivere l’uno a contatto con l’altro.
Se ti sei persə l'intervista ad Ahmad Alex Junaidi, la trovi qui.
L’armonia interreligiosa tra persone musulmane e cristiane si manifesta spesso attraverso collaborazioni in occasione di ricorrenze o festività religiose. Alcune celebrazioni cristiane (Natale, Venerdì Santo e Ascensione di Gesù) sono infatti considerate feste nazionali e dal 2024 - ufficialmente - non sono più riferite a Isa Al-Masih ma Yesus Kristus.
In un Paese in cui sia le persone musulmane che quelle cristiane usano il termine Allah per riferirsi a Dio, il cambio di nomenclatura prevede il passaggio dal termine con cui si identifica Gesù nel Corano a quello usato nei Vangeli. I gruppi cristiani che hanno sostenuto questa modifica hanno sottolineato come non fosse solo una questione semantica, ma di prospettiva: cambia il nome e cambia il modo in cui si interpreta la figura di Gesù.
Un esempio di collaborazione interreligiosa è l’edizione 2019 del festival di musica sacra Pesparani organizzato dalla Conferenza episcopale indonesiana (NWI) e tenutosi a Palembang, nel Sud Sumatra. La novità rispetto all’edizione precedente è il fatto di aver avuto a capo del comitato organizzatore (su decisione dell’arcivescovo) Kiai Hajj Amiruddin Nahrawi, leader musulmano di Nahdlatul Ulama, la più grande organizzazione islamica moderata in Indonesia e nel mondo. All’evento hanno partecipato oltre 2000 persone appartenenti a diverse fedi religiose con l’intento di conoscersi a vicenda.

Al dialogo interreligioso ha contribuito anche il viaggio apostolico che nel settembre 2024 ha compiuto papa Francesco nel Sud Est asiatico e in Oceania. Oltre all’Indonesia, l’allora pontefice è stato in Papua Nuova Guinea, Timor-Leste e Singapore. Junaidi mi ha già raccontato l’accoglienza calorosa della popolazione locale.
Sin dal suo arrivo, lungo le principali strade di Giacarta, la gente ha salutato, si è avvicinata per stringere mani e ha scattato foto. Non erano solo persone cattoliche, ma anche musulmane; ad esempio c’erano numerose donne con il hijab lungo la strada principale che conduce all’ambasciata vaticana. La visita, costellata di incontri con funzionari statali e leader religiosi, aveva tra gli obiettivi quello di migliorare i rapporti tra musulmani e cattolici.
Uno degli appuntamenti, infatti, è stato guidato da Nasaruddin Umar, imam e ministro degli Affari religiosi, che ha condotto l’allora pontefice lungo il Terowongan Silaturahmi (Tunnel Silaturahmi o dell’amicizia), un collegamento sotterraneo tra la moschea Istiqlal di Giacarta e la cattedrale cattolica di Santa Maria Assunta. Un chiaro simbolo della relazione tra le due religioni.

Il viaggio apostolico ha permesso anche di osservare le questioni calde della chiesa indonesiana, su cui gli appuntamenti istituzionali non si sono soffermati ma la popolazione sì. Tra queste la discriminazione basata su genere e orientamento sessuale. Junaidi raccontava che solo piccoli gruppi cristiani e musulmani cercano di costruire luoghi di accoglienza, interpretazioni positive della tradizione e dei testi sacri per le persone marginalizzate, in particolare quelle LGBTQ+.
Eppure a settembre 2024 grande sostegno a papa Francesco al suo arrivo è stato dato proprio dalla comunità trans di Jakarta. Lo racconta il New York Times in un articolo tradotto in italiano dalla Tenda di Gionata: “Per molte donne transgender che vivono ai margini della società, la Chiesa cattolica è un rifugio sicuro e papa Francesco, con i suoi messaggi di tolleranza e apertura verso la comunità LGBTQ+, è diventato un eroe personale”.
Proprio per questo un gruppo di donne trans ha indossato gli abiti migliori e ha raggiunto lo stadio dove il pontefice ha celebrato la messa. Non avevano i biglietti per entrare ma speravano di vederlo da lontano. Non sono riuscite però perché “i poliziotti hanno impedito loro di stare all’ingresso dello stadio con il loro striscione di saluto a Francesco e i loro vestiti colorati. Il gruppo è tornato a casa prima ancora dell’arrivo del Papa”.

Junaidi riferisce ancora tanta discriminazione e violenza nelle chiese indonesiane verso la comunità LGBTQ+, soprattutto verso le persone trans. Accanto a tutto ciò ci sono però delle chiese inclusive che organizzano spazi e momenti di discussione sulla teologia queer, come la Anugerah Community Church di Giacarta, che fa parte della Chiesa battista di Abdiel (in indonesiano Gereja Kristen Abdiel, GKA).
Ritorno alle origini
Un ultimo aspetto da tenere in considerazione è dato dal passaggio di credenti tra cristianesimo e religioni tradizionali indonesiane, un tratto che accompagna l’Indonesia da secoli. Una delle denominazioni cristiane che per prima arriva in Indonesia è la Chiesa nestoriana, appartenente al cristianesimo niceno e quindi orientale. È poi nel ‘500 che arrivano le missioni portoghesi e olandesi e di conseguenza le correnti cattoliche e protestanti, che nel corso dei secoli successivi si sono trasformate in un mosaico di denominazioni e, in alcuni casi, sette.
Junaidi, però, ci suggerisce di guardare agli ultimi 80 anni di storia per capire questo fenomeno. Nel 1965, un presunto tentato colpo di Stato attribuito alla militanza comunista indonesiana fu usato come pretesto per una brutale campagna di repressione. L’esercito, guidato dal generale Suharto, e i gruppi paramilitari legati a delle formazioni islamiche e nazionaliste iniziarono una vera e propria caccia al comunismo, estesa poi anche alle persone ritenute simpatizzanti, intellettuali, di sinistra e appartenenti a minoranze etniche, in particolare la popolazione cinese. Nel giro di pochi mesi, tra 500.000 e un milione di persone furono uccise. Molte altre furono incarcerate senza processo.
Dopo il massacro, Suharto prese gradualmente il potere, instaurando una dittatura militare durata trent’anni, nota come Orde Baru (Nuovo Ordine). Durante il regime, represse ogni opposizione politica, favorì un forte accentramento del potere, impose il controllo statale su stampa e istruzione e promosse un’ideologia nazionalista e religiosa fondata sulla pancasila. Tutti i partiti e le organizzazioni dovevano dichiararsi fedeli a questi principi.
Della pancasila ho scritto nel numero precedente di Senza mulini.
Di conseguenza, sulla spinta della legislazione anticomunista e anti-confuciana, molte persone indonesiane si convertirono all’Islam o al cristianesimo per evitare sospetti o discriminazioni. La religione divenne una strategia di sopravvivenza.
Durante la dittatura, il regime impose ai partiti politici di confluire in due grandi coalizioni: una conservatrice-musulmana, l’altra cristiano-democratica. L’obiettivo era favorire una politica di divide et impera, contrapporre i gruppi religiosi e mantenere il controllo. Tuttavia, i leader religiosi – in particolare molti imam – si opposero apertamente a questo progetto, rifiutando la strumentalizzazione politica della fede.
Oggi, invece, si assiste a un’inversione di tendenza: sempre più persone stanno tornando alle religioni tradizionali, come la Sunda Wiwitan, uno dei culti autoctoni più noti dell’isola di Giava. In tutto il Paese si contano circa 245 religioni tradizionali con 400.000 fedeli. Tra le ragioni di questo ritorno alle spiritualità locali: il desiderio di allontanarsi da un culto - quello cristiano - visto come importato, straniero e di riscoprire una fede che è radicata nel territorio indonesiano e si fa strumento per recuperare la cultura locale.
To be continued
Per oggi ci fermiamo qui. Nel prossimo numero voliamo in Argentina, per vedere:
come sono organizzate le chiese protestanti;
qual è il ruolo delle persone laiche;
come si stanno sviluppando le correnti carismatiche.
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Grazie per aver letto fino a qui. Ci ritroviamo tra due settimane!
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